Abbiamo altre possibilità oltre a farci travolgere?
La mia proposta, che faccio anche a me stessa quando mi sento guidata da qualcosa che non ho deciso e sembra fuori totalmente dal mio controllo, è scegliere.
Volontariamente, guardiamo l'emozione che arriva, diamole un nome, e poi lasciamola andare.
A comando, il nostro.
Come stessimo giocando a palla, arriva la tristezza e la lasciamo cadere, senza farla prigioniera.
Senza stringerla al corpo come se qualcuno volesse rubarla.
Semplicemente, osserviamo questa palla (!) di tristezza che arriva e lasciamola cadere.
Guardiamola senza fissarci su di lei, e lasciamola andare per prepararci alla presa del prossimo lancio.
Se restiamo occupati a guardare in basso, non vediamo se e quando arriva qualcun altro a giocare con noi e distoglierci da quel baratro di rimuginio, rabbia, colpa o qualunque altra emozione stia guidando al posto nostro.
Non si tratta di rinnegare ciò che si prova, o di fingere, ma è un modo per passare oltre, per smettere di soffrire, anche se per pochi istanti, che con la pratica diventano minuti e poi ore...
Anche Wayne Dyer in "C'è una soluzione spirituale a ogni problema", edito da Corbaccio, propone proprio questo: dare un tempo al dolore, decidere fino a quando.
(Tuttavia è uno dei pochi spunti che ho preso da questa lettura, ahimè, deludente rispetto a "Le vostre zone erronee" di cui ho parlato qui)
Ne abbiamo parlato, di dare un tempo al dolore, e ci siamo confrontati, per prendere fiato quando è troppo quello che arriva.
Un altro esempio che ho letto in un libro di tipo diverso, di Chiara Gamberale, Per dieci minuti, edito da Feltrinelli.
La protagonista si affligge per un amore finito, e la sua psi le consiglia di fare una cosa nuova ogni giorno per dieci minuti.
Darsi il tempo, per ascoltarsi e per ascoltare anche il nuovo farsi strada, dentro di noi.
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