Quanto dipende da noi stessi, dal nostro impegno e quanto dal contesto.
Io per esempio, nella professione di counselor ci credo, cioè lasciando da parte per un attimo, il tempo di scrivere, quanto sia difficile e estremamente complessa, piena di insidie e di continue maree, freddo intenso e caldo che brucia la pelle.
Quindi, lascio stare, almeno per il tempo di scrivere, che è strana questa professione, come insegnare anche, non lo sai fino a quando non sei davanti a quell'aula e quelle persone, proprio quelle e non altre, con i loro atteggiamenti provocatori o indifferenti, il desiderio di mettersi dentro al processo, la bramosia di apprendere o di controllare l'orologio e i messaggi sul cellulare.
Che ti chiedi, cioè mi chiedo, perché hai scelto un master costoso se poi ti comporti come a scuola, pensando che sia tutto sulle spalle del professore, e tu nel banco cerchi il modo più furbo, secondo te, di passare la prova copiando, senza metterci proprio niente di tuo.
Però sono solo io che la penso così, io che cerco di coinvolgere le persone a tirare fuori ciò che hanno dentro di proprio, idee, spinte, motivazioni. Sostanza. Unicità.
Usarle le proprie abilità e non solo per digitare sul cellulare.
Mi pare tanto spreco davvero.
Di tempo e di emozioni, di vita e di relazioni, di possibilità di scoprirsi, non solo all'altro ma a sé.
(C'è all'opposto chi pensa che sia uno spreco di tempo e di risorse disponibili inventare, approfondire, apprendere e non copiare intere lezioni, idee, libri dal web, pronte e a portata di un Ctrl + C e Ctrl + V)
Però, e qui, ovvio c'è il però che si scontra con quello che accade fuori, allora certo lo so, come noi vediamo il mondo è solo UN modo, ed è tanto ovvio dirlo quanto difficile farselo davvero scendere dentro, accettarlo senza sentirsi minacciati o delusi da un mondo di sprechi di persone ed abilità.
Di bugie e di verità non dette.
Esiste davvero "la verità"?
Invece di - o insieme a - cercarla fuori di noi, cerchiamo di ascoltarla dentro.
Senza anestetizzare, scappare, nasconderci.
Magari a piccole dosi omeopatiche.
Respira dentro cosa sento qui e com'è per me adesso.
E' importante per me, prima di chiederlo ad altri?
Lo rispetto questo mio sentire, sono disponibile a cambiare qualcosa affinché possa modificarsi e ammorbidirsi questo pezzo? Qualunque sia, che non comprendo e rifaccio sempre uguale.
Così succede anche nel mio lavoro di counselor, quando si crede di mettere tutto nelle mani dell'altro - cioè mie se hanno scelto me- e aspettare che ci faccia qualcosa, metti a posto il mio cassetto, i miei attrezzi buttati alla rinfusa.
Mettimi dentro le budella con ordine però e che non diano troppo fastidio.
Rimetti tutto dentro che poi così, pare dicano alcuni, io so di averli, però poi non li uso più.
Troppi libri - o forse anche troppi incontri sbagliati di persone che avrebbero dovuto aiutare e invece si sono sostituiti, hanno "comandato" ricette e interpretazioni affrettate distorcono la mia professione e quelle accanto.
Una giungla che avrebbe dovuto essere di felci con ombra rinfrescante si è trasformata in un groviglio di mangrovie e serpenti, di sputasentenze e acchiappaacchiappa e tante altre schifezze che purtroppo ci stanno in ogni professione, ma non pensavo proprio ci fossero anche in questa qua.
Illusa,naïf. Tanto naïf. (io)
Che poi c'è anche chi i consigli li vuole, anzi, vuole proprio sentirsi dire cosa fare e seguire tutto, mettere da parte tutto quello che sapeva, la propria testa e il proprio cuore, non interrogarsi più, smettere di farsi domande, se gli fa bene, se gli fa male o fa male a qualcun altro.
Hanno ragione i libri in cui tanti che fanno questa professione sono descritti in modo inutile o manipolatorio stupido o cattivo.
Sono umani, non è che in questa categoria la percentuale degli stupidi e scorretti ed ignoranti scende.
No, è come tutte le altre.
Solo che dispiace, tanto e il cuore sanguina pensando che ce ne sono tonnellate di professionisti preparati e che aiutano davvero senza prendere in giro e senza raggirare, senza manipolare e creare dipendenze e false identità.
Ecco, io penso sempre di voler entusiasmare le persone a guardarsi cosa c'è di bello in sé, quali richiami, preziose unicità, quali motivazioni e desideri per riconoscerli e seguirli.
Poi c'è invece chi arriva e riesce in poche mosse a dire da fuori che no, fai come ti dice lui/lei, che è meglio, e il brutto davvero brutto e triste è che c'è chi preferisce sentirsi etichettato e fatto tornare e tornare ancora e smettere di usare la testa sua e i polmoni suoi e soprattutto quello che c'è sotto.
Un etichetta può rassicurare, dici "è quello " e la metti da parte, come una giustificazione con te stesso nei giorni in cui non vuoi entrare nei banchi della scuola della vita.
Insegnanti buoni e cattivi, studenti promettenti e figli di papà con la strada spianata, combattenti e perdenti, chi ha rinunciato e chi si rialza dopo un po'.
Io ancora non so come sarà per me, e rimischiando le carte chissà qual è davvero la verità?
Lasciar comparire il disegno dell'altro vuol dire aver fiducia che lo abbia e possa riuscire a comporlo tra le dita, invece poi magari c'è chi vuole sentirsi dire come tenere la matita e vuole il dettato della sua vita, che gli sembra più sicuro.
Aver davanti chi chiede cerca qual è il tuo tema, proprio il tuo e scoprilo e coltivalo lascia troppo spazio all'individuo, che invece vuole sicurezze, senza tentativi e responsabilità.
Ma la verità non ha mai una sola strada, e quello che deve avvenire avverrà, anche farsi da parte e non parlare.
Anche avere buone intenzioni. Leggere un libro e vedere che le buone intenzioni ed le intuizioni giuste possono portare a una vita in cui le doti vengono calpestate, messe da parte e sprecate.
Fine delle considerazioni oggi, almeno qui in questo blog, perché nella mia testa, è ovvio continueranno ancora.
E' così con alcuni incontri, ti fanno pensare e ripensare, riflettere, sperare vadano diversamente, fare il tifo fino alla fine, e quando si tratta di un libro la fine riesci a vederla scritta tra le pagine, allora la speranza che vada diversamente non c'è più, non ci può più essere, e hai solo che tornare indietro e dire: cos'è successo di sbagliato?
Ma soprattutto, tornando alla vita mia: cosa ho imparato e cosa farò diversamente la prossima volta?
(Il libro che mi tiene ancora tra le sue pagine è Una barca nel bosco di Paola Mastrocola. Siete superbenvenuti nei commenti).
I disegni sono di Gianfranco Zavalloni, amante della scuola, autore dei diritti dei bambini.
Chissà se ti sarebbe piaciuta la scuola raccontata da Paola Mastrocola, Maestro.
Io per esempio, nella professione di counselor ci credo, cioè lasciando da parte per un attimo, il tempo di scrivere, quanto sia difficile e estremamente complessa, piena di insidie e di continue maree, freddo intenso e caldo che brucia la pelle.
Quindi, lascio stare, almeno per il tempo di scrivere, che è strana questa professione, come insegnare anche, non lo sai fino a quando non sei davanti a quell'aula e quelle persone, proprio quelle e non altre, con i loro atteggiamenti provocatori o indifferenti, il desiderio di mettersi dentro al processo, la bramosia di apprendere o di controllare l'orologio e i messaggi sul cellulare.
Che ti chiedi, cioè mi chiedo, perché hai scelto un master costoso se poi ti comporti come a scuola, pensando che sia tutto sulle spalle del professore, e tu nel banco cerchi il modo più furbo, secondo te, di passare la prova copiando, senza metterci proprio niente di tuo.
Però sono solo io che la penso così, io che cerco di coinvolgere le persone a tirare fuori ciò che hanno dentro di proprio, idee, spinte, motivazioni. Sostanza. Unicità.
Usarle le proprie abilità e non solo per digitare sul cellulare.
Mi pare tanto spreco davvero.
Di tempo e di emozioni, di vita e di relazioni, di possibilità di scoprirsi, non solo all'altro ma a sé.
(C'è all'opposto chi pensa che sia uno spreco di tempo e di risorse disponibili inventare, approfondire, apprendere e non copiare intere lezioni, idee, libri dal web, pronte e a portata di un Ctrl + C e Ctrl + V)
Però, e qui, ovvio c'è il però che si scontra con quello che accade fuori, allora certo lo so, come noi vediamo il mondo è solo UN modo, ed è tanto ovvio dirlo quanto difficile farselo davvero scendere dentro, accettarlo senza sentirsi minacciati o delusi da un mondo di sprechi di persone ed abilità.
Di bugie e di verità non dette.
Esiste davvero "la verità"?
Invece di - o insieme a - cercarla fuori di noi, cerchiamo di ascoltarla dentro.
Senza anestetizzare, scappare, nasconderci.
Magari a piccole dosi omeopatiche.
Respira dentro cosa sento qui e com'è per me adesso.
E' importante per me, prima di chiederlo ad altri?
Lo rispetto questo mio sentire, sono disponibile a cambiare qualcosa affinché possa modificarsi e ammorbidirsi questo pezzo? Qualunque sia, che non comprendo e rifaccio sempre uguale.
Così succede anche nel mio lavoro di counselor, quando si crede di mettere tutto nelle mani dell'altro - cioè mie se hanno scelto me- e aspettare che ci faccia qualcosa, metti a posto il mio cassetto, i miei attrezzi buttati alla rinfusa.
Mettimi dentro le budella con ordine però e che non diano troppo fastidio.
Rimetti tutto dentro che poi così, pare dicano alcuni, io so di averli, però poi non li uso più.
Troppi libri - o forse anche troppi incontri sbagliati di persone che avrebbero dovuto aiutare e invece si sono sostituiti, hanno "comandato" ricette e interpretazioni affrettate distorcono la mia professione e quelle accanto.
Una giungla che avrebbe dovuto essere di felci con ombra rinfrescante si è trasformata in un groviglio di mangrovie e serpenti, di sputasentenze e acchiappaacchiappa e tante altre schifezze che purtroppo ci stanno in ogni professione, ma non pensavo proprio ci fossero anche in questa qua.
Illusa,naïf. Tanto naïf. (io)
Che poi c'è anche chi i consigli li vuole, anzi, vuole proprio sentirsi dire cosa fare e seguire tutto, mettere da parte tutto quello che sapeva, la propria testa e il proprio cuore, non interrogarsi più, smettere di farsi domande, se gli fa bene, se gli fa male o fa male a qualcun altro.
Hanno ragione i libri in cui tanti che fanno questa professione sono descritti in modo inutile o manipolatorio stupido o cattivo.
Sono umani, non è che in questa categoria la percentuale degli stupidi e scorretti ed ignoranti scende.
No, è come tutte le altre.
Solo che dispiace, tanto e il cuore sanguina pensando che ce ne sono tonnellate di professionisti preparati e che aiutano davvero senza prendere in giro e senza raggirare, senza manipolare e creare dipendenze e false identità.
Ecco, io penso sempre di voler entusiasmare le persone a guardarsi cosa c'è di bello in sé, quali richiami, preziose unicità, quali motivazioni e desideri per riconoscerli e seguirli.
Poi c'è invece chi arriva e riesce in poche mosse a dire da fuori che no, fai come ti dice lui/lei, che è meglio, e il brutto davvero brutto e triste è che c'è chi preferisce sentirsi etichettato e fatto tornare e tornare ancora e smettere di usare la testa sua e i polmoni suoi e soprattutto quello che c'è sotto.
Un etichetta può rassicurare, dici "è quello " e la metti da parte, come una giustificazione con te stesso nei giorni in cui non vuoi entrare nei banchi della scuola della vita.
Insegnanti buoni e cattivi, studenti promettenti e figli di papà con la strada spianata, combattenti e perdenti, chi ha rinunciato e chi si rialza dopo un po'.
Io ancora non so come sarà per me, e rimischiando le carte chissà qual è davvero la verità?
Lasciar comparire il disegno dell'altro vuol dire aver fiducia che lo abbia e possa riuscire a comporlo tra le dita, invece poi magari c'è chi vuole sentirsi dire come tenere la matita e vuole il dettato della sua vita, che gli sembra più sicuro.
Aver davanti chi chiede cerca qual è il tuo tema, proprio il tuo e scoprilo e coltivalo lascia troppo spazio all'individuo, che invece vuole sicurezze, senza tentativi e responsabilità.
Ma la verità non ha mai una sola strada, e quello che deve avvenire avverrà, anche farsi da parte e non parlare.
Anche avere buone intenzioni. Leggere un libro e vedere che le buone intenzioni ed le intuizioni giuste possono portare a una vita in cui le doti vengono calpestate, messe da parte e sprecate.
Fine delle considerazioni oggi, almeno qui in questo blog, perché nella mia testa, è ovvio continueranno ancora.
E' così con alcuni incontri, ti fanno pensare e ripensare, riflettere, sperare vadano diversamente, fare il tifo fino alla fine, e quando si tratta di un libro la fine riesci a vederla scritta tra le pagine, allora la speranza che vada diversamente non c'è più, non ci può più essere, e hai solo che tornare indietro e dire: cos'è successo di sbagliato?
Ma soprattutto, tornando alla vita mia: cosa ho imparato e cosa farò diversamente la prossima volta?
(Il libro che mi tiene ancora tra le sue pagine è Una barca nel bosco di Paola Mastrocola. Siete superbenvenuti nei commenti).
I disegni sono di Gianfranco Zavalloni, amante della scuola, autore dei diritti dei bambini.
Chissà se ti sarebbe piaciuta la scuola raccontata da Paola Mastrocola, Maestro.
Sempre generosa, tu.
RispondiEliminaUn post che magari altri avrebbero diluito in tre o quattro, e invece tu no: tutto dentro.
Ma tu sei così, generosa, ed è anche per questo che ti stimo e ti apprezzo.
Detto questo, la mia idea è che la parola chiave dell'esistenza di ciascuno è "responsabilità".
E, per quanto una persona possa impegnarsi, non è possibile (e non è nemmeno giusto) obbligare gli altri a prendersela, la responsabilità.
Poi dispiace, certo, ed è un peccato.
Ma so anche che alla responsabilità non si sfugge, perchè responsabilità è anche questo: decidere di non agire, di fare Ctrl+C e Ctrl+V, di smanettare sul telefono invece di stare ad ascoltarti, di chiedere a te la ricetta per la loro vita.
Loro non lo sanno, ma in realtà stanno prendendosi la responsabilità di non diventare padroni della loro vita, affidandola agli altri. E la vita alla fine presenta il conto, in un modo o nell'altro.
Ma comunque è un loro diritto.
Da parte mia posso dire che trovare il limite che separa il luogo in cui ho il diritto/dovere di agire, e quello in cui invece ho il diritto/dovere di non entrare, è un esercizio continuo.
Faticoso e utilissimo.
Perchè alla fine la sola verità che io posso conoscere è la mia, e la sola vita che posso guidare è la mia.
E io preferisco prendermela, la responsabilità.
Oppure, più semplicemente, so di non poterle sfuggire.
E mi sta bene così.
Chapeu come sempre Eagle.
RispondiEliminaMi era sfuggita ed ora che l'accolgo, la parola "responsABILITA' " mi torna utile e buona.
Grazie