Tante tantissime le possibilità di partecipare ad eventi.
Ci si va per bere un bicchiere insieme, per sentire musica, apprendere qualcosa.
Per scambiarsi vestiti e consigli, promesse e passeggini.
Nel mio ambito gli eventi sono indirizzati a:
manager, insegnanti, genitori, educatori, psicologi e counselor, formatori etc.
Ma davvero posso comprendere il beneficio di una formazione in base all' appartenenza ad un gruppo di cui faccio parte?
Ovvero, farmene un idea di quanto posso ricavarne in termini di utilità per il mio lavoro,
su ciò che FACCIO e non per ciò che SONO.
Come se la PERSONA, fosse meno importante.
Quella persona che viene prima del lavoro o del compito che svolge, che non sa vedersi o non vuole riconoscersi arrabbiata, ferita, distante e distanziante.
Da nutrire e denutrita, nell'impossibilità reale e metaforica di nutrire di conseguenza, siano gli allievi di una scuola o i propri figli.
Quella persona non sa ascoltarsi e coccolarsi di semplice piacere.
Lo trova e poi lo dimentica, come una one night stand "una botta e via".
Impaurita e alla ricerca di punti fermi, di attestati da mostrare, di ore da conseguire sempre per rispondere a qualche richiesta che viene da fuori e non da dentro.
Come se non fosse abbastanza potersi concedere un piccolo spazio per il proprio sé, volta al silenziamento di paura e vuoto, al piacere di prendere il proprio tempo come risposta alla ricerca dentro.
Come potenziamento della persona, e non del compito.
Come se l'IO SONO non fosse sufficiente a meritare piacere, nutrimento, tempo, attenzione.
Ci si va per bere un bicchiere insieme, per sentire musica, apprendere qualcosa.
Per scambiarsi vestiti e consigli, promesse e passeggini.
Nel mio ambito gli eventi sono indirizzati a:
manager, insegnanti, genitori, educatori, psicologi e counselor, formatori etc.
Ma davvero posso comprendere il beneficio di una formazione in base all' appartenenza ad un gruppo di cui faccio parte?
Ovvero, farmene un idea di quanto posso ricavarne in termini di utilità per il mio lavoro,
su ciò che FACCIO e non per ciò che SONO.
Come se la PERSONA, fosse meno importante.
Da nutrire e denutrita, nell'impossibilità reale e metaforica di nutrire di conseguenza, siano gli allievi di una scuola o i propri figli.
Quella persona non sa ascoltarsi e coccolarsi di semplice piacere.
Lo trova e poi lo dimentica, come una one night stand "una botta e via".
Impaurita e alla ricerca di punti fermi, di attestati da mostrare, di ore da conseguire sempre per rispondere a qualche richiesta che viene da fuori e non da dentro.
Come se non fosse abbastanza potersi concedere un piccolo spazio per il proprio sé, volta al silenziamento di paura e vuoto, al piacere di prendere il proprio tempo come risposta alla ricerca dentro.
Come potenziamento della persona, e non del compito.
Come se l'IO SONO non fosse sufficiente a meritare piacere, nutrimento, tempo, attenzione.
Durante l’infanzia siamo in quello stato che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio… tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione. Poi si diventa adulti, si entra nella ‘società’, uno alla volta si chiudono i ricettori sensoriali. Non impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? A cosa serve? Quanto mi rende?
Bruno Munari
|
Commenti