Il due giugno duemiladodici c’è stato il Congresso SEPI-Society for the Exploration of Psychotherapy Integration.
L’obiettivo era importante e promettente: confrontare psicoterapia e counseling.
Come sempre il punto di partenza sono stati gli Stati Uniti, cosa si fa lì e cosa invece succede qui.
Possono integrarsi, sussistere a vantaggio delle diverse richieste del cliente oppure no?
Ho sentito invocare etica e deontologia; le desidero anche io, e mi impegno da tempo nella stessa direzione anche io.
Ma che sia sempre e trasversale, che non miri a proteggere alcuni a scapito di altri, siano essi clienti o counselor.
Ho ascoltato psicoterapeuti illuminati ed uno fulminato.
Ripetuti epiteti come “selvaggi”, inviti espliciti a “tornare a zappare la terra”, generalizzazioni continue sul nostro essere “fattucchiere”.
Suonerebbero come offese, se non (s)qualificassero innanzitutto chi le ha usate con tanto disprezzo.
Sostengo da sempre l’imperativo della formazione continua, il sacrosanto dovere di sottoporsi a crescita personale prima e durante il sostenere chiunque.
Concordo che seguire un corso triennale per acquisire competenze di counseling utili in infiniti campi lavorativi e relazionali è diverso dall’ acquisire gli stessi strumenti per esercitare il counseling come professionisti.
Ma da qui ad impedire l’accesso totale al counseling, per utenti e studenti, e finanche docenti, è un'altra.
Perché barricare, impedire l’accesso ad usufruire ad un servizio di ascolto, di empowerment, per chi voglia solo quello, od affiancarlo ad una psicoterapia più profonda e a lungo periodo?
Perché negare la ricchezza dell’offerta e il diritto delle persone di cercare e saper scegliere il tipo di sostegno che preferiscono?
Perché non riconoscere la capacità di autodeterminazione del cliente, opportunamente informato sulle varie possibilità di essere seguito nelle diverse circostanze di crisi e difficoltà della vita?
Se i presupposti di cui si parlava, etica e deontologia, sono validi sempre, chiunque ha il dovere di informare il cliente che può rivolgersi ad un servizio che può meglio incontrare il suo bisogno: sia esso coaching, counseling, psicoterapia (e all’interno di essa numerosi indirizzi).
Io mi fido di chi ha tanti colori e ti chiede quale preferisci, o ti consiglia quale sta meglio sul tuo viso, per il tuo stile, per la tua vita.
Diffido invece di chi ha una sola risposta, e pretende che sia sempre l’unica e valida ed infallibile.
Chi crede di sapere meglio, e si pone su un trono dall’alto del quale decide, interpreta, prescrive, condanna.
Cui prodest è facile immaginarlo.
Rintaniamoci nelle torri d’avorio, di medici tuttologi.
Generalizzare sull’ignoranza di alcuni e medicalizzare tutti i pazienti non allarga la richiesta d’aiuto ma la restringe.
Pretendere di curare tutti e sempre è dannoso per tutti.
Esiste la scelta, e la parola “rispetto” per l’uomo è una necessità imprescindibile.
Ma certo, come può chi parla di selvaggi sapere cosa è il rispetto e come può offrirlo nella sua professione se come persona non sa cos’è?
sono benvenuti altri punti di vista se il dialogo è corretto, costruttivo e commentate col vostro nome e cognome.
L’obiettivo era importante e promettente: confrontare psicoterapia e counseling.
Come sempre il punto di partenza sono stati gli Stati Uniti, cosa si fa lì e cosa invece succede qui.
Possono integrarsi, sussistere a vantaggio delle diverse richieste del cliente oppure no?
Ho sentito invocare etica e deontologia; le desidero anche io, e mi impegno da tempo nella stessa direzione anche io.
Ma che sia sempre e trasversale, che non miri a proteggere alcuni a scapito di altri, siano essi clienti o counselor.
Ho ascoltato psicoterapeuti illuminati ed uno fulminato.
Ripetuti epiteti come “selvaggi”, inviti espliciti a “tornare a zappare la terra”, generalizzazioni continue sul nostro essere “fattucchiere”.
Suonerebbero come offese, se non (s)qualificassero innanzitutto chi le ha usate con tanto disprezzo.
Sostengo da sempre l’imperativo della formazione continua, il sacrosanto dovere di sottoporsi a crescita personale prima e durante il sostenere chiunque.
Concordo che seguire un corso triennale per acquisire competenze di counseling utili in infiniti campi lavorativi e relazionali è diverso dall’ acquisire gli stessi strumenti per esercitare il counseling come professionisti.
Ma da qui ad impedire l’accesso totale al counseling, per utenti e studenti, e finanche docenti, è un'altra.
Perché barricare, impedire l’accesso ad usufruire ad un servizio di ascolto, di empowerment, per chi voglia solo quello, od affiancarlo ad una psicoterapia più profonda e a lungo periodo?
Perché negare la ricchezza dell’offerta e il diritto delle persone di cercare e saper scegliere il tipo di sostegno che preferiscono?
Perché non riconoscere la capacità di autodeterminazione del cliente, opportunamente informato sulle varie possibilità di essere seguito nelle diverse circostanze di crisi e difficoltà della vita?
Se i presupposti di cui si parlava, etica e deontologia, sono validi sempre, chiunque ha il dovere di informare il cliente che può rivolgersi ad un servizio che può meglio incontrare il suo bisogno: sia esso coaching, counseling, psicoterapia (e all’interno di essa numerosi indirizzi).
Io mi fido di chi ha tanti colori e ti chiede quale preferisci, o ti consiglia quale sta meglio sul tuo viso, per il tuo stile, per la tua vita.
Diffido invece di chi ha una sola risposta, e pretende che sia sempre l’unica e valida ed infallibile.
Chi crede di sapere meglio, e si pone su un trono dall’alto del quale decide, interpreta, prescrive, condanna.
Cui prodest è facile immaginarlo.
cui prodest scelus, is fecit - colui al quale il crimine porta vantaggi, egli l'ha compiuto. Seneca 500-501
Rintaniamoci nelle torri d’avorio, di medici tuttologi.
Generalizzare sull’ignoranza di alcuni e medicalizzare tutti i pazienti non allarga la richiesta d’aiuto ma la restringe.
Pretendere di curare tutti e sempre è dannoso per tutti.
Esiste la scelta, e la parola “rispetto” per l’uomo è una necessità imprescindibile.
Ma certo, come può chi parla di selvaggi sapere cosa è il rispetto e come può offrirlo nella sua professione se come persona non sa cos’è?
sono benvenuti altri punti di vista se il dialogo è corretto, costruttivo e commentate col vostro nome e cognome.
Tanti perché e tante possibili risposte ... un solo fatto, ci sono persone che hanno bisogno di aiuto e persone che desiderano mettersi seriamente e umanamente a disposizione per aiutare. Tutto il resto riguarda la politica e gli affari. Quando si ritornerà a ricercare di raggiungere l'unico scopo, il benessere dell'altro, senza se e senza ma, si smetterà di discutere di psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti, counselor, preti, assistenti sociali, etc. etc. e si parlerà di umanità . Grazie Paola
RispondiEliminaGrazie Giovanni
RispondiEliminahai proprio ragione, parliamo di umanità .