
Si fa un gran parlare della differenza dei counselors e psi (psicologi e psicoterapeuti) di quello che possiamo fare (a parere di alcuni nulla, siamo abusivi e basta) e cosa no.
Ma visto che di fatto ci occupiamo di ascolto professionale, sembrerebbe voler dire che se sai ascoltare stai professando abusivamente la professione di psicologo.
Quante volte sentiamo dire che chiunque svolga una professione a contatto col pubblico dovrebbe essere un po' psicologo?
Così’ diciamo augurandoci che lo siano gli avvocati – specie i divorzisti- gli insegnanti, i genitori.
In realtà ci auguriamo delle abilità di ascolto, empatico, vero.
Quando però una professione si basa sull’ascolto, partono gli anatemi.
Dell’ascolto, dell’attenzione c’è bisogno. Ogni giorno.
Di persone che sanno dirti quale fila fare, senza sbuffare come se stessero facendo un piacere e non il loro dovere, di persone che quando devono darti un referto medico non lo gridino nelle sale di attesa, sappiano comunicarti con empatia e rispetto cosa hai.
Basterebbe a volte solo quello che una volta avremmo chiamato tatto o educazione.
Per me incontrare persone così è una fortuna, e ne sono contenta.
E’ solo questo il counseling?
No. Sono abilità di counseling, la cui diffusione renderebbe più serene le nostre giornate.
Ho sempre svolto la mia professione con la massima attenzione in sconfinamenti, per il bene non solo del cliente, ma anche mio.
Perché chi porta carichi che non sono alla sua portata, affonda.
Continuo la formazione, le letture, la crescita personale, la supervisione.
Una professione recente – certo – ma in America esiste dagli anni 40 e in Europa dagli anni 70.
Esiste una storia, e la nascita di questa professione è comunque legata a bisogni della società che non venivano soddisfatti con quello che era disponibile.
L’attenzione, sia dell’approccio umanistico che del counseling, è volto alla luce e non alle ombre, alle risorse e non alle mancanze.
Si esce da un ottica di medicalizzazione, e questo fa indignare.
Se provassimo a comprendere, cosa significa per una persona che ha bisogno di essere ascoltata ma non vuole e non può aggiungere nuove valutazioni al suo stato.
Questo articolo parla di counselor che affiancano il medico fin dal momento della diagnosi al San Raffaele di Milano.
“Il supporto standard prevede quattro colloqui, ma se è necessario si può proseguire. Nel progetto di 'Assistenza globale al paziente oncologico' su 100 uomini operati alla prostata solo 1 si rivolgeva agli psicologi, evidentemente c'era bisogno anche di altro. Il paziente in ospedale vive una situazione di subalternità: rispetto alla struttura, ai medici (per altro impreparati a gestire gli aspetti emotivi della malattia) e può non aver voglia di sentirsi nuovamente valutato, in questo caso per la sua ansia o la sua depressione.”
Ho pensato a me, ovvio. Quando tre anni fa passavo da una visita a un indagine invasiva. Esami, camici bianchi, odore di malattia.
La diagnosi è stata dolorosissima e piena di implicazioni, conseguenze, ed altri esami. Continui. Avevo estremo bisogno di elaborare l’informazione, ma ero fortemente irritata da questo sentirmi “paziente”.
Volevo aiuto, ma non di uno psicologo, che io associo a un contesto medicale.
Se questa è la mia idea, come quella di tanti altre persone, si deve agire sul modificare il posizionamento del lavoro di psicologo.
[ Il termine posizionamento in senso stretto indica le attività di marketing volte a creare un'immagine distintiva ed efficacemente competitiva per una marca, nella mente del consumatore.
Nelle mie lezioni sottolineo che il consumatore si fa sempre e comunque una sua idea, su qualunque cosa o persona. L’attività del marketing è semmai volta a influenzare positivamente quella idea/posizione].
Nelle mie lezioni sottolineo che il consumatore si fa sempre e comunque una sua idea, su qualunque cosa o persona. L’attività del marketing è semmai volta a influenzare positivamente quella idea/posizione].
Non serve fare guerra alle categorie che si ritiene abbiano “rubato il lavoro”, ma le energie potrebbero essere volte alla costruzione della relazione e non alla distruzione, all’allargamento della base.
Siamo convinti che – in assenza di counselor- tutta la domanda sarebbe spostata sugli psicologi?
Col counseling abbiamo – come si dice nel marketing- occupato una nicchia che non era coperta fino a quel momento.
Questo ha generato l’accorgersi che era rimasta scoperta e il desiderio di riprendersela.
Però ci si accusa che non conosciamo il DSMIV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e cioè di nuovo si sottolinea la patologia e non la salute dell’individuo.
Tra l’altro non è affatto vero che non si studia nei tre anni di formazione, ma è quello che si dice quando non si sa.
Conosciamo il DSMIV non perché facciamo diagnosi, ma per saper riconoscere quando il nostro intervento non è abbastanza, quando affiancarci al cliente ed accompagnarlo verso una altro tipo di aiuto.
Sempre nel marketing (ma anche in psicologia- consentitemi di poter parlare assolutamente e con cognizione pratica e teorica almeno di marketing!!) si parla di attenzione/distorsione/ ritenzione selettiva: se si vuole trovare per forza qualcosa di patologico lo si trova in tutti, visto che si guarda per trovare “l’errore”.
Così viene distorto il resto delle informazioni, e vengono selezionate solo quelle che confermano la prima “etichetta”.
Se chiamiamo i clienti pazienti, ne stiamo dando una connotazione medicale.
Così invece di puntare al miglioramento possibile nelle relazioni quotidiane, della qualità della vita, attraverso un percorso di consapevolezza, il posizionamento dello psicologo continua ad essere distorto nella patologia. In qualcosa che non va, nel “medico dei pazzi”.
Col counseling abbiamo – come si dice nel marketing- occupato una nicchia che non era coperta fino a quel momento.
Questo ha generato l’accorgersi che era rimasta scoperta e il desiderio di riprendersela.
Però ci si accusa che non conosciamo il DSMIV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e cioè di nuovo si sottolinea la patologia e non la salute dell’individuo.
Tra l’altro non è affatto vero che non si studia nei tre anni di formazione, ma è quello che si dice quando non si sa.
Conosciamo il DSMIV non perché facciamo diagnosi, ma per saper riconoscere quando il nostro intervento non è abbastanza, quando affiancarci al cliente ed accompagnarlo verso una altro tipo di aiuto.
Sempre nel marketing (ma anche in psicologia- consentitemi di poter parlare assolutamente e con cognizione pratica e teorica almeno di marketing!!) si parla di attenzione/distorsione/ ritenzione selettiva: se si vuole trovare per forza qualcosa di patologico lo si trova in tutti, visto che si guarda per trovare “l’errore”.
Così viene distorto il resto delle informazioni, e vengono selezionate solo quelle che confermano la prima “etichetta”.
Se chiamiamo i clienti pazienti, ne stiamo dando una connotazione medicale.
Così invece di puntare al miglioramento possibile nelle relazioni quotidiane, della qualità della vita, attraverso un percorso di consapevolezza, il posizionamento dello psicologo continua ad essere distorto nella patologia. In qualcosa che non va, nel “medico dei pazzi”.
Come ho detto prima, il posizionamento non l’ho deciso io, lo decide il consumatore, che infatti se ha una idea negativa resta “non-consumatore”.
Perché le persone vanno rispettate ed accolte anche nelle loro paure, ed accompagnate lì dove noi in prima persona dobbiamo esser stati come professionisti.
Perché le persone vanno rispettate ed accolte anche nelle loro paure, ed accompagnate lì dove noi in prima persona dobbiamo esser stati come professionisti.
Come si fa ad inviare qualcuno da uno psicoterapeuta se – in prima persona- non abbiamo ascoltato nel nostro petto cosa ha significato per noi.(L’obbligo di sottoporsi a terapia personale dovrebbe essere esteso a tutte le categorie. Come si può anche solo ipotizzare – e difendere- che il superamento di esami universitari sia sufficiente a mettere in pratica con altri il “sapere”?
E’ come parlare di musica senza sentirla suonare.)
Ed ancora, tra le “colpe”di noi counselor non sappiamo capire se c’è un problema, chissà che disastri facciamo.
Peccato che i disastri li compiano indifferentemente persone in ogni categorie, e allora l’errore, la non professionalità, la non etica sta nella persona e nella categoria.
Ho cercato di costruire in questi anni, di far chiarezza, perché il bisogno delle professioni di aiuto c’è, e diffuso.
Ascoltiamo il bisogno, orientiamolo.
Le guerre provocano sospetti, noi dovremmo guidare nel sapersi relazionare, superare i conflitti nella vita di ogni giorno, non siamo credibili quando passiamo il tempo a costruire barriere.
Guardiamo invece le molte occasioni ed opportunità per integrare le professioni:
ad es. io posso essere di introduzione e preparazione ad un percorso di crescita più profondo, un primo gradino per giungere poi a voler migliorare ancora di più e dunque scegliere un intervento diverso, una psicoterapia.
Posso essere scelta in parallelo con un percorso di psicoterapia, o a conclusione di essa, magari dopo anni dalla fine di un percorso.
Quando le persone hanno visto e cambiato quello che dovevano, ma restano con un bisogno diverso, quello comunque di essere sostenuti, ascoltati, accolti.
Orientati, reindirizzati anche.
Spesso vengo scelta per le mie competenze lavorative, perché so cosa vuol dire vivere nei meccanismi aziendali e volerci entrare, o uscire, a seconda dei momenti della nostra vita.
Oggi, come sempre a conclusione di un colloquio, chiedo ad una cliente- che ha alle spalle tre percorsi di psicoterapia: com’è andata?
Mi risponde: mi sento ascoltata, ho l’impressione che tu mi capisca bene, che non mi giudichi, che sei a disposizione per farmi tirare qualche filo dove serve. Se mi confondo non mi odi.
“Cosa intendi per non ti odio?” Dico io
E lei. Si la mia prima psicoterapeuta quando perdevo il filo sbuffava.
Una conferma che l’ascolto attivo sembra facile ma non è.
Si può parlare se volete di cosa noi counselors possiamo fare, quanto in fondo possiamo o no andare.
Se la “profondità “ è esclusiva degli psicoterapeuti, l’ascolto dovrebbe essere base comune.
Come è ovvio le professioni le fanno le persone, ce ne sono ottime e pessime ovunque.
Non è la professione che va demonizzata, ma chi la abusa, in qualunque modo e luogo.
Posso essere scelta in parallelo con un percorso di psicoterapia, o a conclusione di essa, magari dopo anni dalla fine di un percorso.
Quando le persone hanno visto e cambiato quello che dovevano, ma restano con un bisogno diverso, quello comunque di essere sostenuti, ascoltati, accolti.
Orientati, reindirizzati anche.
Spesso vengo scelta per le mie competenze lavorative, perché so cosa vuol dire vivere nei meccanismi aziendali e volerci entrare, o uscire, a seconda dei momenti della nostra vita.
Oggi, come sempre a conclusione di un colloquio, chiedo ad una cliente- che ha alle spalle tre percorsi di psicoterapia: com’è andata?
Mi risponde: mi sento ascoltata, ho l’impressione che tu mi capisca bene, che non mi giudichi, che sei a disposizione per farmi tirare qualche filo dove serve. Se mi confondo non mi odi.
“Cosa intendi per non ti odio?” Dico io
E lei. Si la mia prima psicoterapeuta quando perdevo il filo sbuffava.
Una conferma che l’ascolto attivo sembra facile ma non è.
Si può parlare se volete di cosa noi counselors possiamo fare, quanto in fondo possiamo o no andare.
Se la “profondità “ è esclusiva degli psicoterapeuti, l’ascolto dovrebbe essere base comune.
Come è ovvio le professioni le fanno le persone, ce ne sono ottime e pessime ovunque.
Non è la professione che va demonizzata, ma chi la abusa, in qualunque modo e luogo.
ciao , è un piacere leggere gli artcoli e il tuo blog,a volte i conflitti tra posizioni diverse ha delle ragioni e intteressi non accettabli, in tutti i casi è nel buon senso la via migliore.a volte un paziente è anke denaro ...nel mondo della psicoterapia c è anke questo da pensare..!un dottore è pur sempre un dottore..!!il monte di lavoro e di studio non è da svalutare.forse non ascoltano no è il loro lavoro nessuno puo insegnare l arte di aiutare..!
RispondiEliminaSalvatore,felice che il blog sia di tuo gradimento.il buon senso è sempre benvenuto così la non svalutazione come dici tu, in perfetta reciprocità
RispondiEliminain effetti io la diatriba e le differenze le ho capite solo dopo che sei stata tu a spiegarmele. certo capisco perfettamente il discorso economico, viene da pensare che sia più che altro una questione di concorrenza in termini quantitativi (clienti che togli, che prendi...). di base mi viene da dire che se qualcuno ha il tessuto emotivo per fare un certo lavoro e anche la professionalità di studiarselo e prepararselo non vedo quale sia il problema nei confronti di altre categorie. che sono altre veramente, in termini non solo di formazione ma soprattutto di area di intervento.
RispondiEliminaCara Finè un lavoro strano. non sai se puoi farlo "emotivamente" fino a quando hai terminato. e di fatto non termini mai.e poi il fatto è: chi è che può dire chi ha la stoffa e chi no?di fatto - le scuole affermano- è il mercato che decide.a volte credo sia così a volte interviene il fattore c a favore o contro.
RispondiEliminaIo non ti ho scelta per la tua professionalità ,ma per il tuo sorriso. Sono convinta che quando una persona ha un sorriso come il tuo è magica.ALLORA VENDIMI
RispondiEliminaehm...arrosisco. :-P
RispondiEliminaDecisamente interessante questo: nella società di oggi non puoi farti ascoltare da uno psicologo senza sentirti in qualche modo malato. Questo a causa delle convinzioni "sociali" instillate dentro di noi. Ed è decisamente controproducente, perchè tutti hanno bisogno di ascolto.
RispondiEliminaGrazie Nicola
RispondiEliminaSono una counselor ed una formatrice di counselors. Ad ogni primo anno del corso in cui insegno, faccio un'intera lezione sulla differenza tra counseling e psicoterapia, nella professione faccio attenzione a non sconfinare e quando ne sento la necessità mi affido a psicologi e psicoterapeuti dei quali conosco ed apprezzo la professionalità. Non è facile restare nelle proprie competenze (non lo è neanche per gli psic- basti pensare a quanti di loro giocano al dottore prescrivendo farmaci!) ma è necessario se si vuol far bene il proprio lavoro. Ci sono tanti ciarlatani in giro, ce ne sono in tutti i campi, ma ci sono anche tanti professionisti che non vogliono pestare i piedi a nessuno, ma vogliono dare il meglio nel proprio campo.Ciò che vorrei è che si riconoscessero le professionalità altrui senza viverle come minacciose. Una legge chiara in tal proposito sarebbe gradita!Detto questo mi piace il tuo blog!
RispondiEliminaElisache meraviglia! questo blog è nato proprio per diffondere il counseling e per farlo conoscere per quello che è e per cosa NON è.E' fondamentale una lezione come fai tu, e al di là delle leggi, forse anche le scuole potrebbero ogni tanto ricordare agli allievi di presentarsi nel modo giusto, senza usare prefissi che creano confusione nei clienti e rabbia (giusta) negli psi.ce ne sarebbe tanto lavoro se non si spaventassero le persone, inn qualunque modo lo si faccia, dichiarando il falso ( da una parte e dall'altra) o facendo la guerra.io collaboro con molto piacere con psicoterapeuti, e, come in ogni ambito ci sono colleghi fantastici, preparatissimi, empatici ed altri con i quali è difficile scambiarsi anche un ciao...
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