Setting dal verbo inglese to set, la traduzione letterale è allestire, mettere a punto e dunque regolare, sistemare, ordinare, mettere dei confini, come fa la nostra mente che continuamente organizza e ordina.
Quante difficoltà nella vita sono dovute all’assenza di regole e confini?
Per questo motivo sentirete parlare di regole la prima volta (e se c’è bisogno anche dopo) in cui entrerete in un gruppo di terapia, parteciperete ad un laboratorio di counseling o, più semplicemente, deciderete di fare un percorso di crescita personale.
Il setting è l’insieme di regole che organizzano i comportamenti attraverso i quali il professionista (psicoterapeuta, psicologo, counselor) si esprime nelle modalità relazionali più idonee ed efficaci per il tipo di intervento.
Le regole contengono, danno sicurezza e protezione all’interno di un contenitore che è la relazione.
In primo luogo per setting si intende lo spazio fisico e quello temporale.
L’immaginario collettivo è rimasto agli inizi del 900: distesi sul lettino, col terapeuta freudiano alle spalle, due incontri la settimana.
Fumetti, barzellette e l’ultima pubblicità con Francesco Totti giocano proprio con queste idee, rafforzandole.
Al principio nel mio studio avevo messo un divano e ricordo un cliente ancora sulla porta mi chiese spaventato: devo stendermi?
Trattenni un sorriso, per via di quell’idea (falsa ed antiquata) che molti di noi hanno nei confronti di professioni di sostegno.
Quello che avviene invece in un incontro di counseling individuale è di sedervi su comode poltrone vis a vis con chi vi ascolterà.
A volte si può lavorare anche per terra, su cuscini, modalità che ad esempio io uso nei gruppi di artcounseling.
Si sta bene, si crea in breve tempo una sensazione di vicinanza e calore.
Il setting come spazio fisico include la scelta dei colori dello studio, la disposizione delle poltrone, la distanza tra esse, eventuali oggetti tra le due, come un tavolino o un tappeto.
Lo spazio fisico creato dal professionista per accogliervi, libri, quadri, computer e altro che vi riveleranno tacitamente la personalità, l’età (sbirciate sulle lauree e diplomi) i gusti, alcuni lati del carattere.
Troppo o troppo poco per voi.
Personale, impersonale, colorato, monocolore, spartano, ricco, pomposo.
Il luogo sarà un elemento importante.
Come vi piace sentirvi?
Vi corrisponde il luogo per accogliere il corpo, le parole, i gesti, le lacrime ed i sorrisi?
Fa parte del setting sia la durata di un singolo incontro che la durata totale del percorso:
a volte può essere sufficiente un incontro solo, la norma è di 8-12 totali.
La frequenza può essere di un incontro settimanale o ogni 15 giorni.
Questo vuol dire che un percorso vi accompagnerà per circa due mesi se vedete il vostro counselor tutte le settimane.
Con la vita frenetica, gli incastri tra molti doveri e qualche piacere pochi possono permettersi di incontrare una persona due volte la settimana per anni.
Questa era l’idea che avevo un tempo:
avvertivo la necessità di essere ascoltata, potermi sfogare, lasciare pesi e dispiaceri e prendermi in breve tempo nuove competenze, ma non potevo permettermi due incontri la settimana.
Chi può economicamente di solito ha troppo da fare, e chi non ha da fare non può economicamente.
Il counseling era una risposta accessibile per me e così ho iniziato la mia storia (vedi il mio video qui - tanti anni fa).
Il setting è dunque anche lo spazio temporale, ovvero il tempo che avrete a disposizione, sia che lo usiate sia che non lo usiate.
C’è chi arriva in ritardo o non arriva affatto, chi puntualmente avvisa che non ce la fa solo qualche minuto prima del colloquio.
C’è chi arriva con trenta minuti di anticipo e sconfina nel tempo di un altro.
Chi vuole trattenere il terapeuta, il counselor o i compagni del gruppo sulla porta.
Perciò, anche se quando arrivate in un gruppo o in uno studio le regole non le capite, fidatevi.
Ci sono ottimi motivi per averle.
Anzi, il fatto che cercherete di contestarle, non seguirle, spingere altri a trasgredirle insieme a voi, sarà una occasione imperdibile per la vostra crescita.
Ci sono regole esplicite ed implicite, ma in ogni caso sono lì perché definiscono i contorni o se volete appunto, i confini della relazione tra voi e chi vi sostiene.
L’approccio Gestalt in particolare parte proprio dal confine/contatto per descrivere e verificare, prendere consapevolezza e modificare quali sono i meccanismi di interruzione nel contatto e mancato contatto.
In altre parole dove il nostro mettere confini troppo rigidi con il mondo o non metterne affatto ci crea problemi di vario genere nella quotidianità.
Ed ancora: i confini del setting ovvero le regole che delimitano l’intervento sono i costi anche in caso di assenza, la confidenzialità, i telefoni…
Personalmente da cliente non accetterei un terapeuta che lascia acceso e che risponde al cellulare nella mia ora. (Ce ne sono!) .
I confini per me tutelano entrambe le persone nella relazione, e non una a scapito dell’altra.
E’ come dire al cliente: devi essere presente e puntuale agli incontri ma io posso arrivare in ritardo o non venire affatto. (il messaggio nascosto mi sembrerebbe: io valgo di più di te. Oppure all’opposto se il cliente si “dimentica” ripetutamente di pagare e io non riesco a dire nulla, intanto non sono un buon esempio di assertività ma gli sto anche passando il messaggio: io non valgo molto. Tu puoi cancellare le sedute, quando vuoi, non dovrai pagarle: il messaggio è il mio tempo vale meno del tuo. Io posso essere scaricata in ogni momento, non ho una vita, fanne quello che vuoi. Ciò che fate e non fate, nel farvi rispettare o meno, anche come genitori, sono in realtà messaggi: su voi stessi e sui vostri confini.
Il comportamento veicola se siete rigidi, flessibili, molli come budini, inesistenti, freddi come ghiaccio, taglienti come coltelli, impauriti, deleganti, indipendenti, contro dipendenti.
Il confine è la prova dell’esistenza e resistenza.
Avete visto un bambino nella culla che cerca i confini?
Vuole sentirsi contenuto. Non nel vuoto cosmico.
L’assenza di confini spaventa, la costrizione nei confini castra.
Trovare il proprio equilibrio nei confini è un esercizio continuo.
Se negli incontri di gruppo il cellulare va sempre spento nell’interesse e rispetto del gruppo intero, negli incontri individuali chiedo al mio cliente di potersi dedicare del tempo solo per se, ma è una sua scelta di poter lasciare il cellulare acceso nel suo tempo, di poter essere distratto e tirato fuori dai suoi pensieri ed emozioni.
Perché capita e mi rendo conto che a volte è necessario.
A volte però una persona nel lasciare il telefono acceso sta comunicando la sua ansia, perché è convinta che l’ufficio bruci o il bambino (ottimamente affidato) sia in pericolo costante.
Un telefono mai spento può nascondere dipendenza, paura di scomparire nel momento in cui non sono raggiungibile, tentativo (impossibile) di voler essere ovunque contemporaneamente.
Insomma io suggerisco ai clienti di spegnerlo, ma non lo impongo.
In alcuni casi ammetto una certa flessibilità nelle regole, perché la rigidità è necessaria con alcuni ma non con tutti: un cliente che spesso manca gli incontri, arriva in ritardo e pretende di recuperare il tempo che lui ha perso, sposta uno stesso colloquio anche due, tre volte, pretendere disponibilità senza poi presentarsi va aiutato attraverso le regole in modo opposto al cliente che è sempre (fin troppo) preciso e rigido nei comportamenti.
Nel primo caso la relazione avrà un possibile beneficio indiretto di aiutarlo a rispettare i tempi, spazi e persone. Nel secondo una certa flessibilità potrà essere sperimentata a piccoli morsi in luogo sicuro.
Vedetela così: in ogni relazione ci sono regole, alcune visibili ed altre invisibili.
Sono lì a dire: io sono così. E tu?
La relazione è infatti il principale elemento del setting.
Perciò il (terapeuta, counselor, psicologo…) con il suo modo di essere, di pensare, intendere gli eventi e se stesso/a, il rapporto con le proprie emozioni / il proprio corpo / le proprie relazioni fanno parte del setting.
La sua professionalità, umanità, preparazione, competenza, serietà, etica sono elementi fondanti di una relazione emotiva, intellettuale, affettiva, cognitiva che si crea (oppure no) con il cliente.
Paola Bonavolontà
Quante difficoltà nella vita sono dovute all’assenza di regole e confini?
Per questo motivo sentirete parlare di regole la prima volta (e se c’è bisogno anche dopo) in cui entrerete in un gruppo di terapia, parteciperete ad un laboratorio di counseling o, più semplicemente, deciderete di fare un percorso di crescita personale.
Il setting è l’insieme di regole che organizzano i comportamenti attraverso i quali il professionista (psicoterapeuta, psicologo, counselor) si esprime nelle modalità relazionali più idonee ed efficaci per il tipo di intervento.
Le regole contengono, danno sicurezza e protezione all’interno di un contenitore che è la relazione.
In primo luogo per setting si intende lo spazio fisico e quello temporale.
L’immaginario collettivo è rimasto agli inizi del 900: distesi sul lettino, col terapeuta freudiano alle spalle, due incontri la settimana.
Fumetti, barzellette e l’ultima pubblicità con Francesco Totti giocano proprio con queste idee, rafforzandole.
Al principio nel mio studio avevo messo un divano e ricordo un cliente ancora sulla porta mi chiese spaventato: devo stendermi?
Trattenni un sorriso, per via di quell’idea (falsa ed antiquata) che molti di noi hanno nei confronti di professioni di sostegno.
Quello che avviene invece in un incontro di counseling individuale è di sedervi su comode poltrone vis a vis con chi vi ascolterà.
A volte si può lavorare anche per terra, su cuscini, modalità che ad esempio io uso nei gruppi di artcounseling.
Si sta bene, si crea in breve tempo una sensazione di vicinanza e calore.
Il setting come spazio fisico include la scelta dei colori dello studio, la disposizione delle poltrone, la distanza tra esse, eventuali oggetti tra le due, come un tavolino o un tappeto.
Lo spazio fisico creato dal professionista per accogliervi, libri, quadri, computer e altro che vi riveleranno tacitamente la personalità, l’età (sbirciate sulle lauree e diplomi) i gusti, alcuni lati del carattere.
Troppo o troppo poco per voi.
Personale, impersonale, colorato, monocolore, spartano, ricco, pomposo.
Il luogo sarà un elemento importante.
Come vi piace sentirvi?
Vi corrisponde il luogo per accogliere il corpo, le parole, i gesti, le lacrime ed i sorrisi?
Fa parte del setting sia la durata di un singolo incontro che la durata totale del percorso:
a volte può essere sufficiente un incontro solo, la norma è di 8-12 totali.
La frequenza può essere di un incontro settimanale o ogni 15 giorni.
Questo vuol dire che un percorso vi accompagnerà per circa due mesi se vedete il vostro counselor tutte le settimane.
Con la vita frenetica, gli incastri tra molti doveri e qualche piacere pochi possono permettersi di incontrare una persona due volte la settimana per anni.
Questa era l’idea che avevo un tempo:
avvertivo la necessità di essere ascoltata, potermi sfogare, lasciare pesi e dispiaceri e prendermi in breve tempo nuove competenze, ma non potevo permettermi due incontri la settimana.
Chi può economicamente di solito ha troppo da fare, e chi non ha da fare non può economicamente.
Il counseling era una risposta accessibile per me e così ho iniziato la mia storia (vedi il mio video qui - tanti anni fa).
Il setting è dunque anche lo spazio temporale, ovvero il tempo che avrete a disposizione, sia che lo usiate sia che non lo usiate.
C’è chi arriva in ritardo o non arriva affatto, chi puntualmente avvisa che non ce la fa solo qualche minuto prima del colloquio.
C’è chi arriva con trenta minuti di anticipo e sconfina nel tempo di un altro.
Chi vuole trattenere il terapeuta, il counselor o i compagni del gruppo sulla porta.
Perciò, anche se quando arrivate in un gruppo o in uno studio le regole non le capite, fidatevi.
Ci sono ottimi motivi per averle.
Anzi, il fatto che cercherete di contestarle, non seguirle, spingere altri a trasgredirle insieme a voi, sarà una occasione imperdibile per la vostra crescita.
Ci sono regole esplicite ed implicite, ma in ogni caso sono lì perché definiscono i contorni o se volete appunto, i confini della relazione tra voi e chi vi sostiene.
L’approccio Gestalt in particolare parte proprio dal confine/contatto per descrivere e verificare, prendere consapevolezza e modificare quali sono i meccanismi di interruzione nel contatto e mancato contatto.
In altre parole dove il nostro mettere confini troppo rigidi con il mondo o non metterne affatto ci crea problemi di vario genere nella quotidianità.
Ed ancora: i confini del setting ovvero le regole che delimitano l’intervento sono i costi anche in caso di assenza, la confidenzialità, i telefoni…
Personalmente da cliente non accetterei un terapeuta che lascia acceso e che risponde al cellulare nella mia ora. (Ce ne sono!) .
I confini per me tutelano entrambe le persone nella relazione, e non una a scapito dell’altra.
E’ come dire al cliente: devi essere presente e puntuale agli incontri ma io posso arrivare in ritardo o non venire affatto. (il messaggio nascosto mi sembrerebbe: io valgo di più di te. Oppure all’opposto se il cliente si “dimentica” ripetutamente di pagare e io non riesco a dire nulla, intanto non sono un buon esempio di assertività ma gli sto anche passando il messaggio: io non valgo molto. Tu puoi cancellare le sedute, quando vuoi, non dovrai pagarle: il messaggio è il mio tempo vale meno del tuo. Io posso essere scaricata in ogni momento, non ho una vita, fanne quello che vuoi. Ciò che fate e non fate, nel farvi rispettare o meno, anche come genitori, sono in realtà messaggi: su voi stessi e sui vostri confini.
Il comportamento veicola se siete rigidi, flessibili, molli come budini, inesistenti, freddi come ghiaccio, taglienti come coltelli, impauriti, deleganti, indipendenti, contro dipendenti.
Il confine è la prova dell’esistenza e resistenza.
Avete visto un bambino nella culla che cerca i confini?
Vuole sentirsi contenuto. Non nel vuoto cosmico.
L’assenza di confini spaventa, la costrizione nei confini castra.
Trovare il proprio equilibrio nei confini è un esercizio continuo.
Se negli incontri di gruppo il cellulare va sempre spento nell’interesse e rispetto del gruppo intero, negli incontri individuali chiedo al mio cliente di potersi dedicare del tempo solo per se, ma è una sua scelta di poter lasciare il cellulare acceso nel suo tempo, di poter essere distratto e tirato fuori dai suoi pensieri ed emozioni.
Perché capita e mi rendo conto che a volte è necessario.
A volte però una persona nel lasciare il telefono acceso sta comunicando la sua ansia, perché è convinta che l’ufficio bruci o il bambino (ottimamente affidato) sia in pericolo costante.
Un telefono mai spento può nascondere dipendenza, paura di scomparire nel momento in cui non sono raggiungibile, tentativo (impossibile) di voler essere ovunque contemporaneamente.
Insomma io suggerisco ai clienti di spegnerlo, ma non lo impongo.
In alcuni casi ammetto una certa flessibilità nelle regole, perché la rigidità è necessaria con alcuni ma non con tutti: un cliente che spesso manca gli incontri, arriva in ritardo e pretende di recuperare il tempo che lui ha perso, sposta uno stesso colloquio anche due, tre volte, pretendere disponibilità senza poi presentarsi va aiutato attraverso le regole in modo opposto al cliente che è sempre (fin troppo) preciso e rigido nei comportamenti.
Nel primo caso la relazione avrà un possibile beneficio indiretto di aiutarlo a rispettare i tempi, spazi e persone. Nel secondo una certa flessibilità potrà essere sperimentata a piccoli morsi in luogo sicuro.
Vedetela così: in ogni relazione ci sono regole, alcune visibili ed altre invisibili.
Sono lì a dire: io sono così. E tu?
La relazione è infatti il principale elemento del setting.
Perciò il (terapeuta, counselor, psicologo…) con il suo modo di essere, di pensare, intendere gli eventi e se stesso/a, il rapporto con le proprie emozioni / il proprio corpo / le proprie relazioni fanno parte del setting.
La sua professionalità, umanità, preparazione, competenza, serietà, etica sono elementi fondanti di una relazione emotiva, intellettuale, affettiva, cognitiva che si crea (oppure no) con il cliente.
Paola Bonavolontà
Ieri ho scoperto che vicino casa mia organizzano delle sedute (o galleggiate, in questo caso...) di couseling in acqua.Solo che conosco il posto ed è in effetti una tinozza un po' squalliduccia, adatta appena ai corsi iniziali di nuoto per i bambini.Però sicuramente i counselor terranno i telefonini spenti. O hanno inventato quelli subacquei come le macchine fotografiche?
RispondiEliminaE comunque le domande che ti poni sul setting sono validissime anche per altre questioni.Quante volte, figliUola?
RispondiEliminala mia risposta nelle parole di Tommi.com'era quel santo?ihhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
RispondiEliminaper l'acqua: ne ho sentito parlare anche io molto bene.ma come sempre la differenza la fa l'operatore.potrebbe essere un "semplice" rilassamento, estremamente piacevole.la tinozza andrà bene perchè ci deve essere qualcuno che tiene in piedi per terra...io ho freddo d'inverno non potrei mai.però fino a ieri ho usato la mia di piscina...sono ancora abbronzatissima....yeahhhhhhhhh
RispondiEliminaSan Culo protettore delle chiattone
RispondiEliminaallora stai certa che protegge pure me.
RispondiEliminafrase da incorniciare Io sono così, e tu? è perfetta. e le regole, le regole sono fondamentali in una relazione. penso agli scambi tra persone diverse, quando non c'è la lingua in comune, non c'è la cultura nè forse l'obbiettivo dello scambio, l'unica cosa che ci tiene a terra e ci tutela e tutela l'altro sono le regole, i codici. ci penserò ancora sù! :) grazie
RispondiEliminaGrazie Finsai che i tuoi feedback su post così per me sono importantissimi
RispondiElimina.......ma perché davanti ad un post interessante come questo a me viene un commento cazzaro? vado.......mi prendo a mestolate...e torno.
RispondiEliminaEagleper farmi felice?:-)
RispondiEliminaperò non si può mettere.....nou nou nou....però ti do un indizio.tipo settimana enigmistica.il titolo potrebbe essere ...."cambio di iniziale..." :P............ok.vado.(chissà dove avrò messo il mestolo....)
RispondiEliminaihhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhgrandissima!!
RispondiElimina