Sono seduta sul tappo.
Quando sono in astinenza entro dentro e mi tuffo dentro le parole che toccano i bordi e si confondono.
Restano le lettere z k f h r nessuna ha più senso sono troppe formano troppe parole tutte insieme ad allagare come acqua nei campi, la stessa che sarebbe necessaria alle piantine per crescere ma quando è troppa le affoga.
Quando parlo con mia madre sono un pesce, provo ad aprire la mia bocca nel tentativo di poter dire ma è sempre troppo tardi perché lei ha già ricominciato.
Ricaccio indietro le mie parole, fa male inghiottirle in silenzio.
Mamma si ferma solo quell’attimo, meno ancora, che le serve a prendere fiato e poi di nuovo parole parole fino a riempirlo quel barattolo senza lasciare che le sue parole possano confondersi ed unirsi a quelle di un altro, neanche di sua figlia.
Lei occupa tutto lo spazio.
Parla parla e confonde perché non smette di parlare neanche agli incroci quando serve un momento per capire quale direzione prendere.
Non smette neanche quando si parcheggia, quando si sale in ascensore o sulle scale mobili s’incanta senza muoversi dicendo che si è distratta.
In realtà lei si distrae con le sue stesse parole, si perde nei suoi giri della mente, nei suoi valzer di discorsi senza senso ..
Non c’è possibilità di avvicinarla, le sue parole la circondano come un boa gigante e l’allontanano da chiunque, l’avviluppano.
Fin da piccola facevo fatica a capire come avvicinarmi a lei, a farmi sentire ed ascoltare, ma no, non c’era verso.
Allora mi impegnavo ad ascoltarla io e non era semplice, perché tutte quelle parole messe insieme un senso non l’avevano e non ce l’hanno.
I discorsi sono scollegati tra loro, ed io faccio fatica a capire cosa la porta da una all’altro, cosa li lega, e corro da uno all’altro, cercando di capire cosa sta dicendo, di seguirla nella sua mente.
Di rincorrere quelle parole che rotolano e lasciano smarrimento.
Le parole possono distruggere.
Le parole possono salvare.
Le parole possono unire.
Le parole possono allontanare.
Per quel motivo io vivo con lei nel barattolo ed io sul tappo e mi tuffo dentro appena la nostalgia è troppa ma poche volte riesco ad orientarmi in quel mare di parole.
Poche volte riesco per caso a scendere ed avvicinarmi un po’ di più a lei, che talvolta pare rallentare quel fiume di parole ed accorgersi che sono lì che vorrei veramente stare con lei, anche in silenzio, a sentire i nostri cuori che battono insieme, come quando ancora ero dentro di lei, bum bum fa ancora adesso il mio cuore quando ti ho vicina.
Vorrei che m’ascoltasse.
Come se io fossi lì per lei e anche lei per me.
La mia mamma è malata.
Di una malattia che la tiene lontana da me.
Questa malattia si chiama troppe inutili parole.
* pubblicato col consenso dell'autrice
puntate precedenti: l'idea di partenza, il barattolo delle biglie colorate
Quando sono in astinenza entro dentro e mi tuffo dentro le parole che toccano i bordi e si confondono.
Restano le lettere z k f h r nessuna ha più senso sono troppe formano troppe parole tutte insieme ad allagare come acqua nei campi, la stessa che sarebbe necessaria alle piantine per crescere ma quando è troppa le affoga.
Quando parlo con mia madre sono un pesce, provo ad aprire la mia bocca nel tentativo di poter dire ma è sempre troppo tardi perché lei ha già ricominciato.
Ricaccio indietro le mie parole, fa male inghiottirle in silenzio.
Mamma si ferma solo quell’attimo, meno ancora, che le serve a prendere fiato e poi di nuovo parole parole fino a riempirlo quel barattolo senza lasciare che le sue parole possano confondersi ed unirsi a quelle di un altro, neanche di sua figlia.
Lei occupa tutto lo spazio.
Parla parla e confonde perché non smette di parlare neanche agli incroci quando serve un momento per capire quale direzione prendere.
Non smette neanche quando si parcheggia, quando si sale in ascensore o sulle scale mobili s’incanta senza muoversi dicendo che si è distratta.
In realtà lei si distrae con le sue stesse parole, si perde nei suoi giri della mente, nei suoi valzer di discorsi senza senso ..
Non c’è possibilità di avvicinarla, le sue parole la circondano come un boa gigante e l’allontanano da chiunque, l’avviluppano.
Fin da piccola facevo fatica a capire come avvicinarmi a lei, a farmi sentire ed ascoltare, ma no, non c’era verso.
Allora mi impegnavo ad ascoltarla io e non era semplice, perché tutte quelle parole messe insieme un senso non l’avevano e non ce l’hanno.
I discorsi sono scollegati tra loro, ed io faccio fatica a capire cosa la porta da una all’altro, cosa li lega, e corro da uno all’altro, cercando di capire cosa sta dicendo, di seguirla nella sua mente.
Di rincorrere quelle parole che rotolano e lasciano smarrimento.
Le parole possono distruggere.
Le parole possono salvare.
Le parole possono unire.
Le parole possono allontanare.
Per quel motivo io vivo con lei nel barattolo ed io sul tappo e mi tuffo dentro appena la nostalgia è troppa ma poche volte riesco ad orientarmi in quel mare di parole.
Poche volte riesco per caso a scendere ed avvicinarmi un po’ di più a lei, che talvolta pare rallentare quel fiume di parole ed accorgersi che sono lì che vorrei veramente stare con lei, anche in silenzio, a sentire i nostri cuori che battono insieme, come quando ancora ero dentro di lei, bum bum fa ancora adesso il mio cuore quando ti ho vicina.
Vorrei che m’ascoltasse.
Come se io fossi lì per lei e anche lei per me.
La mia mamma è malata.
Di una malattia che la tiene lontana da me.
Questa malattia si chiama troppe inutili parole.
* pubblicato col consenso dell'autrice
puntate precedenti: l'idea di partenza, il barattolo delle biglie colorate
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