Quando termino le mie giornate di formazione o i cicli di lezione o un percorso sono sempre molto attenta ad una fase particolare, chiamata in gergo "la chiusura".
La chiusura, il saluto, il distacco, la separazione evoca in ognuno di noi tanti fantasmi, oscure paure, riconosciute o no.
C'è chi di noi per la paura di separarsi resta in una relazione sbagliata, chi per la stessa paura non ci entra neanche in una relazione.
Chi non saluta quando se ne va.
Chi affretta il saluto come fosse uno starnuto, chi indugia nell'abbraccio e si perde in esso, si fonde e confonde e non lo lascia più andare.
Io detesto le separazioni ed i distacchi.
Eppure ne ho vissuti a centinaia, e continuo a non farci l'abitudine.
Ho cambiato città tante volte, la distanza aumentava sempre di più: 200 km poi mille e poi 7000.
E con la distanza, il dolore del distacco.
Diventare però consapevoli di cos'è che fa male al cuore aiuta.
Mom I love U.
Il brano seguente è tratto da:
Judith Viorst, Distacchi, Sperling & Kupfer, Milano, 2004, p. 3-9
La vita comincia con la perdita.
Usciamo dal grembo senza un appartamento, un piatto pronto, un lavoro o un’automobile.
Siamo dei neonati succhianti, piangenti, dipendenti e indifesi.
La nostra mamma si frappone tra noi e il mondo, proteggendoci da un’angoscia che ci sovrasterebbe.
Non abbiamo un bisogno più grande del bisogno di nostra madre.
I bambini hanno bisogno della madre.
A volte anche gli avvocati, le casalinghe, i piloti, gli scrittori e gli elettricisti hanno bisogno della mamma.
Nei primi anni di vita ci imbarchiamo nell’impresa di lasciare ciò che va lasciato per diventare esseri umani a sé stanti.
Ma fino a quando non impariamo a tollerare la nostra separatezza fisica e psichica, il bisogno della presenza della madre – della sua continua presenza, in senso stretto – è assoluto.
E’ difficile diventare una persona a sé stante, separarsi emotivamente e fisicamente, essere in grado, esternamente, di stare da soli sulle proprie gambe e, internamente, sentire di essere una persona distinta dalle altre.
Ci sono perdite che dobbiamo sopportare, anche se possono essere controbilanciate da guadagni, mentre ci allontaniamo dal corpo e dall'essere di nostra madre.
Ma se è nostra madre a lasciarci – quando siamo troppo giovani, troppo impreparati, troppo impauriti, troppo indifesi – il costo di questo abbandono, il costo di questa perdita, il costo di questa separazione può essere troppo alto.
C’è un momento in cui è giusto separarci da nostra madre.
Ma se non si è pronti a lasciarla e a essere lasciati, qualsiasi cosa è meglio della separazione.(…)
Perché la presenza della madre – di nostra madre – significa sicurezza.
La paura di perderla è il primo terrore che conosciamo. (...) L’angoscia di separazione scaturisce dalla pura verità che, senza una figura che si occupi di lui, il neonato morirebbe. (...)
Eppure tutti noi siamo abbandonati da nostra madre.
Ci lascia prima che noi possiamo sapere che tornerà .
Ci abbandona per lavorare, per fare la spesa, per andare in vacanza, per partorire un altro figlio; ci sentiamo abbandonati quando non c’è e noi abbiamo bisogno di lei.
Ci lascia per continuare la sua vita, una vita per proprio conto – e noi dobbiamo imparare ad averne una per conto nostro.
Ma nel frattempo cosa facciamo quando abbiamo bisogno di lei e lei non c’è?
Indubbiamente sopravviviamo.
Certamente sopravviviamo alle brevi e temporanee assenze.
Ma queste ci fanno conoscere una paura che può lasciare un segno nella nostra vita.
E se nella prima infanzia, specialmente nei primi sei anni, siamo stati troppo deprivati della presenza della madre di cui abbiamo bisogno e che desideriamo, possiamo aver subito una ferita emotiva paragonabile all'essere cosparsi di alcol e bruciati.
Questa deprivazione nei primi anni di vita è stata proprio paragonata a bruciature o ferite estese.
Il dolore è inimmaginabile. Difficile e lento è il recupero.
Il danno, anche se non fatale, può essere permanente. (...)
Solo negli ultimi quarant’anni si è rivolta piena attenzione all'alto costo determinato dalla perdita della madre e alle sofferenze immediate e future di pur brevi separazioni.
Un bambino tenuto lontano dalla madre può mostrare reazioni di separazione che possono durare a lungo anche dopo che sono di nuovo tornati insieme – disturbi del sonno e della nutrizione, incapacità nel controllo degli sfinteri e persino una diminuzione dei vocaboli usati.
Inoltre, anche alla tenera età di sei mesi, il bambino può non solo essere piagnucoloso o triste, ma anche gravemente depresso.
E per di più, strettamente connessa, c’è la dolorosa sensazione conosciuta come angoscia di separazione, che include sia la paura – quando la mamma non c’e – dei pericoli da affrontare senza di lei, sia quella – quando la mamma è presente – di perderla di nuovo. (...)
A sei mesi un bambino si può formare un’immagine mentale di sua madre assente.
La ricorda e la vuole specificatamente e il fatto che lei non sia presente gli procura dolore.
Sopraffatto dal bisogno insistente che solo sua madre, la madre che non c’è, può soddisfare, si sente profondamente indifeso e deprivato.
Più il bambino è piccolo e minore è il tempo che occorre – una volta che si sia sintonizzato sulla madre – perché l’assenza venga vissuta come una perdita permanente.
Figure familiari sostitutive lo possono aiutare a tollerare le separazioni quotidiane, ma solo a tre anni il bambino comincia a capire che la madre che non è presente è egualmente viva e vegeta in un altro luogo e che tornerà da lui.
Solo che l’attesa per il ritorno della madre può sembrare interminabile, può sembrare eterna.
Dobbiamo ricordare che il tempo passa più in fretta col passare degli anni e che una volta noi lo misuravamo in modo diverso, tanto che un’ora ci poteva sembrare un giorno, un giorno un mese, e un mese era quindi indubbiamente un’eternità .
Non c’è allora da stupirsi che da bambini ci si disperasse per l’assenza della mamma come ci capita da adulti per la morte di una persona.
Non c’è da stupirsi che un bambino che viene tolto alla madre divenga pazzo di dolore per la frustrazione e il desiderio.
L’assenza non rende più appassionati ma solo più disperati.
L’assenza, in realtà , provoca una sequenza tipica di risposte: protesta, disperazione e infine distacco.
Togliete un bambino alla madre e affidatelo a degli estranei in un posto sconosciuto ed egli troverà questo modo di vita intollerabile. Griderà , piangerà , si agiterà .
Cercherà ansiosamente e disperatamente la mamma che non c’è.
Protesterà perché spera, ma dopo un po’, quando vedrà che lei non viene, la protesta diventerà disperazione, uno stato d’animo di struggimento sotterraneo che può albergare un dispiacere immenso.
(…..)
Siccome il bisogno di una madre è così potente, la maggior parte dei bambini emergono dalla disperazione e cercano dei sostituti materni.
Ha quindi senso supporre che, se il bisogno è così forte, una volta tornata la madre il bambino si getti nelle sua braccia.
Ma le cose non vanno così.
Perché, abbastanza sorprendentemente, molti bambini – soprattutto al di sotto dei tre anni – possono accogliere freddamente la madre al suo ritorno, trattandola con una distanza, con un’indifferenza che sembrerebbero voler dire: «Mai vista questa signora in vita mia».
Questa risposta viene chiamata distacco – una chiusura dei sentimenti affettivi – e ha a che fare con la perdita in diversi modi.
Punisce la persona per aver abbandonato.
Serve come espressione mascherata di rabbia, perché l’odio intenso e violento è una delle principali risposte dell’essere stato abbandonato.
E può inoltre agire da difesa – che può durare per due ore, o giorni, o per l’intera vita – una difesa contro l’angoscia di amare sempre e di essere sempre abbandonati.
L’assenza non rende più appassionati, ma più freddi.
La chiusura, il saluto, il distacco, la separazione evoca in ognuno di noi tanti fantasmi, oscure paure, riconosciute o no.
C'è chi di noi per la paura di separarsi resta in una relazione sbagliata, chi per la stessa paura non ci entra neanche in una relazione.
Chi non saluta quando se ne va.
Chi affretta il saluto come fosse uno starnuto, chi indugia nell'abbraccio e si perde in esso, si fonde e confonde e non lo lascia più andare.
Io detesto le separazioni ed i distacchi.
Eppure ne ho vissuti a centinaia, e continuo a non farci l'abitudine.
Ho cambiato città tante volte, la distanza aumentava sempre di più: 200 km poi mille e poi 7000.
E con la distanza, il dolore del distacco.
Diventare però consapevoli di cos'è che fa male al cuore aiuta.
Mom I love U.
Il brano seguente è tratto da:
Judith Viorst, Distacchi, Sperling & Kupfer, Milano, 2004, p. 3-9
La vita comincia con la perdita.
Usciamo dal grembo senza un appartamento, un piatto pronto, un lavoro o un’automobile.
Siamo dei neonati succhianti, piangenti, dipendenti e indifesi.
La nostra mamma si frappone tra noi e il mondo, proteggendoci da un’angoscia che ci sovrasterebbe.
Non abbiamo un bisogno più grande del bisogno di nostra madre.
I bambini hanno bisogno della madre.
A volte anche gli avvocati, le casalinghe, i piloti, gli scrittori e gli elettricisti hanno bisogno della mamma.
Nei primi anni di vita ci imbarchiamo nell’impresa di lasciare ciò che va lasciato per diventare esseri umani a sé stanti.
Ma fino a quando non impariamo a tollerare la nostra separatezza fisica e psichica, il bisogno della presenza della madre – della sua continua presenza, in senso stretto – è assoluto.
E’ difficile diventare una persona a sé stante, separarsi emotivamente e fisicamente, essere in grado, esternamente, di stare da soli sulle proprie gambe e, internamente, sentire di essere una persona distinta dalle altre.
Ci sono perdite che dobbiamo sopportare, anche se possono essere controbilanciate da guadagni, mentre ci allontaniamo dal corpo e dall'essere di nostra madre.
Ma se è nostra madre a lasciarci – quando siamo troppo giovani, troppo impreparati, troppo impauriti, troppo indifesi – il costo di questo abbandono, il costo di questa perdita, il costo di questa separazione può essere troppo alto.
C’è un momento in cui è giusto separarci da nostra madre.
Ma se non si è pronti a lasciarla e a essere lasciati, qualsiasi cosa è meglio della separazione.(…)
Perché la presenza della madre – di nostra madre – significa sicurezza.
La paura di perderla è il primo terrore che conosciamo. (...) L’angoscia di separazione scaturisce dalla pura verità che, senza una figura che si occupi di lui, il neonato morirebbe. (...)
Eppure tutti noi siamo abbandonati da nostra madre.
Ci lascia prima che noi possiamo sapere che tornerà .
Ci abbandona per lavorare, per fare la spesa, per andare in vacanza, per partorire un altro figlio; ci sentiamo abbandonati quando non c’è e noi abbiamo bisogno di lei.
Ci lascia per continuare la sua vita, una vita per proprio conto – e noi dobbiamo imparare ad averne una per conto nostro.
Ma nel frattempo cosa facciamo quando abbiamo bisogno di lei e lei non c’è?
Indubbiamente sopravviviamo.
Certamente sopravviviamo alle brevi e temporanee assenze.
Ma queste ci fanno conoscere una paura che può lasciare un segno nella nostra vita.
E se nella prima infanzia, specialmente nei primi sei anni, siamo stati troppo deprivati della presenza della madre di cui abbiamo bisogno e che desideriamo, possiamo aver subito una ferita emotiva paragonabile all'essere cosparsi di alcol e bruciati.
Questa deprivazione nei primi anni di vita è stata proprio paragonata a bruciature o ferite estese.
Il dolore è inimmaginabile. Difficile e lento è il recupero.
Il danno, anche se non fatale, può essere permanente. (...)
Solo negli ultimi quarant’anni si è rivolta piena attenzione all'alto costo determinato dalla perdita della madre e alle sofferenze immediate e future di pur brevi separazioni.
Un bambino tenuto lontano dalla madre può mostrare reazioni di separazione che possono durare a lungo anche dopo che sono di nuovo tornati insieme – disturbi del sonno e della nutrizione, incapacità nel controllo degli sfinteri e persino una diminuzione dei vocaboli usati.
Inoltre, anche alla tenera età di sei mesi, il bambino può non solo essere piagnucoloso o triste, ma anche gravemente depresso.
E per di più, strettamente connessa, c’è la dolorosa sensazione conosciuta come angoscia di separazione, che include sia la paura – quando la mamma non c’e – dei pericoli da affrontare senza di lei, sia quella – quando la mamma è presente – di perderla di nuovo. (...)
A sei mesi un bambino si può formare un’immagine mentale di sua madre assente.
La ricorda e la vuole specificatamente e il fatto che lei non sia presente gli procura dolore.
Sopraffatto dal bisogno insistente che solo sua madre, la madre che non c’è, può soddisfare, si sente profondamente indifeso e deprivato.
Più il bambino è piccolo e minore è il tempo che occorre – una volta che si sia sintonizzato sulla madre – perché l’assenza venga vissuta come una perdita permanente.
Figure familiari sostitutive lo possono aiutare a tollerare le separazioni quotidiane, ma solo a tre anni il bambino comincia a capire che la madre che non è presente è egualmente viva e vegeta in un altro luogo e che tornerà da lui.
Solo che l’attesa per il ritorno della madre può sembrare interminabile, può sembrare eterna.
Dobbiamo ricordare che il tempo passa più in fretta col passare degli anni e che una volta noi lo misuravamo in modo diverso, tanto che un’ora ci poteva sembrare un giorno, un giorno un mese, e un mese era quindi indubbiamente un’eternità .
Non c’è allora da stupirsi che da bambini ci si disperasse per l’assenza della mamma come ci capita da adulti per la morte di una persona.
Non c’è da stupirsi che un bambino che viene tolto alla madre divenga pazzo di dolore per la frustrazione e il desiderio.
L’assenza non rende più appassionati ma solo più disperati.
L’assenza, in realtà , provoca una sequenza tipica di risposte: protesta, disperazione e infine distacco.
Togliete un bambino alla madre e affidatelo a degli estranei in un posto sconosciuto ed egli troverà questo modo di vita intollerabile. Griderà , piangerà , si agiterà .
Cercherà ansiosamente e disperatamente la mamma che non c’è.
Protesterà perché spera, ma dopo un po’, quando vedrà che lei non viene, la protesta diventerà disperazione, uno stato d’animo di struggimento sotterraneo che può albergare un dispiacere immenso.
(…..)
Siccome il bisogno di una madre è così potente, la maggior parte dei bambini emergono dalla disperazione e cercano dei sostituti materni.
Ha quindi senso supporre che, se il bisogno è così forte, una volta tornata la madre il bambino si getti nelle sua braccia.
Ma le cose non vanno così.
Perché, abbastanza sorprendentemente, molti bambini – soprattutto al di sotto dei tre anni – possono accogliere freddamente la madre al suo ritorno, trattandola con una distanza, con un’indifferenza che sembrerebbero voler dire: «Mai vista questa signora in vita mia».
Questa risposta viene chiamata distacco – una chiusura dei sentimenti affettivi – e ha a che fare con la perdita in diversi modi.
Punisce la persona per aver abbandonato.
Serve come espressione mascherata di rabbia, perché l’odio intenso e violento è una delle principali risposte dell’essere stato abbandonato.
E può inoltre agire da difesa – che può durare per due ore, o giorni, o per l’intera vita – una difesa contro l’angoscia di amare sempre e di essere sempre abbandonati.
L’assenza non rende più appassionati, ma più freddi.
A me è successo anni fa... Mi mamma ha abbandonato me e mia sorella, c'è ancora tanto dolore, ma soprattutto paura per il futuro...
RispondiEliminaRive gauche sono molto colipita da quello che mi dici. mi dispiace. se vuoi leggi il libro. se ti va. oppure ce n'è ancora un altro di cui ho parlato qui, ma certo la ferita resta sempre aperta.a tratti fa meno male.io me lo auguro per te e tua sorella. ti abbraccio.
RispondiEliminaquando avevo poco piu di un anno mia madre é stata spesso lontana da me per un'altra gravidanza e per lavoro...mi hanno detto che all'inizio piangevo molto e la cercavo in continuazione...dopo qualche tempo pero ho smesso e non l'ho mai piu considerata come qualcuno di fondamentale nella mia vita.anche adesso la considero alla stregua di una conoscente...nonostante negli ultimi 7 anni abbiamo vissuto lontane non mi é mai mancata...e quello che hai scritto mi ha fatto capire il perché.grazieun saluto
RispondiEliminaNaijke grazie a te per il commento.a volte abbiamo la ferita dentro e non sappiamo di averla.sentiamo il dolore o ci siamo anestetizzati.è solo il tipo di risposta che cambia.ti auguro di sciogliere questo nodo, incide profondamente in tanti aspetti della vita, almeno è stato così per me e tante persone che ho conosciuto.
RispondiEliminaanche io detesto le separazioni e i distacchi e per questo sono stata in relazioni sbagliate...mentre adesso cerco di darmi il meno possibile x nn soffrire ,è come se costruissi un muro dentro di me x difendermi ecco xchè da fuori sembro una persona fredda che se la tira quando ijn realtà penso di essere l'opposto...bacio!
RispondiEliminaPu la puara di soffrire ci fa soffrire due volte, perchè ci sembra di fingere, perchè non siamo riconosciuti dagli altri per quelli che siamo. perchè restiamo distanti quando vorremmo essere vicini.perchè comunque è una strategia per evitare qualcosa e ci fa stancare infinitamente, e purtroppo anche inutilmente.ti bacio Pupa
RispondiEliminaNon sopporto le distanze, odio le partenze e i distacchi, solo perchè quello che mi chiedo è " che cosa troverò al rientro? "Mia mamma... un rapporto ostile il nostro. Come Naijke, io vivo lontana da lei, e sapere che fra un pò dovrò raggiungerla per forza, mi fa male. Non mi manca... Il modo di parlarmi, per me, per il mio carattere, non funziona. E sì che lei dovrebbe conoscermi! Ultimamente poi, ha dato il meglio ( o peggio ) di sè. Io mi ricordo solo che avevo 7 anni, mi alzavo alle 7.30. Mettevo sù il bollitore del latte, facevo colazione, mi vestivo. E andavo a scuola, da sola.Lei dormiva. E quando lo raccontavo, lei rideva, anzi, diceva che io ero già indipendente. Punti di vista?
RispondiEliminaDoucepunti di vista...è una storia la tua come quella di Naijke che ho sentito tante volte ed ogni volta mi arrivano allo stesso modo.sicuramente la condivisione aiuta, raccontare la propria storia in un luogo sicuro.cercare di elaborarla e portarla dentro di sè in modo diverso che non faccia più male ad ogni passo che si compie nella vita.quando ne sentirete l'esigenza.in estate per esempio ci sono corsi bellissimi in giro in Italia.si possono incontrare tante persone e fare un viaggio meraviglioso nella propria vita riemergendo dalle acque rinfocillati, con linfa nuova e forze nuove. e nuova speranza, fiducia in un futuro migliore aiutati dal nostro atteggiamento.altrimenti tendiamo a ripetere il nostro passato, ad incontrare persone che continuano a non prendersi cura di noi, ed allo stesso tempo noi non sapremo prenderci cura di loro, in una relazione equilibrata che da e prende.nutre e prende nutrimento.ama e viene riamata.
RispondiEliminaciao Paola,ne so qualcosa... da qundo avevo 3 anni ho visto mia madre solo dalle 20,30, stanca morta per aver lavorato tutto il giorno e con altri due figli oltre a me... non avevo nè nonni nè zii nè baby sitter, il pomeriggio dopo l'asilo lo passavo a casa con i miei fratelli di 9 e 11 anni... sì, hai capito bene, a casa da soli fino a sera.sarà per questo che adesso mi viene l'ansia anche solo per una telefonata che non arriva??? sarà per questo che non riesco ad avere un rapporto con mia madre, che mi innervosisco qualsiasi cosa mi chieda??? che ho sempre bisogno della conferma di qualcuno intorno a me, ma nello stesso tempo faccio scappare tutti??? sì, forse sì.scusa, ma in questi giorni sono una discarica...grazie ancora.
RispondiEliminaCara Clorofilla, non scusarti. ho toccato un tema molto delicato per molti di noi.ti abbraccio
RispondiEliminaHo letto subito la tua risposta...Nelle tue righe,mi sono sentita scuotere. Da qualcosa. E' vero, incontro persone delle quali non riesco a prendermi cura come vorrei, e come meriterebbero. Incontro delle persone alle quali dò sempre troppo, e se provo a chiedere in cambio qualcosa, dopo penso di non aver nessun titolo per chiedere.E chiedo scusa." Nutre e prende nutrimento ". So per certo di non aver niente e nessuno da cui nutrirmi. E pensandolo, mi si sono riempiti gli occhi di lacrime.E poi ho letto CLorofilla, e mi sono ritrovata nel suo bisogno, nella necessità , di avere conferme altrui. Nell'ansia, nell'agitazione che vivo ogni volta che mamma mi chiede qualcosa.Hai parlato di corsi.... puoi indicarmi dove posso avere notizie? Voglio "guarire".... Grazie :)
RispondiEliminaCara Douce style mi odia ed ha cancellato una mia risposta lunga un chilometro. in soldoni dicevo di dove sei?a roma mi sento di consigliare questo percorso, molto rispettoso e mobido Fernando Battista, danzatore, coreografo, insegnante, DanzaMovimentoTerapeuta (Associazione Professionale Italiana Danzamovimentoterapia), Counselor espressivo (A.S.P.I.C.-C.N.C.P.), Trainer A.S.P.I.C., responsabile Corso DanceCounseling A.S.P.I.C., docente scuole di formazione DMT-APID.Ogni lunedì dal 21 settembredalle ore 19.30 alle ore 21.00fino a lunedì 19 ottobrepressoCantieri ScalziVia Pistoia 1/b -Roma-(M Re di Roma– Linea A)prenotazione obbligatoria entro il 12 settembreprenotazioni mail: corpisensibili@tiscali.it web: www.corpisensibili.com
RispondiEliminaun altro link che mi sembra interessante, anche se non l'ho provato personalmentewww.olodanza.it/c'è un corso in programma per Inizio: domenica 16 agosto 2009 alle ore 16.00 Fine: sabato 22 agosto 2009 alle ore 13.00 Luogo: Hotel*** Oasi S. Nicola Città /Paese: Pesaro, Italy che si può frequentare anche parzialmentevai sul sito e vedi se ti attira
RispondiEliminaGrazie Paola! Soprattutto per l'abbraccio :) che ricambio con tanta stima.Abito a Roma. Oggi pomeriggio mi dedicherò alla lettura dei siti che mi hai indicato. Sono sicura che troverò ciò che mi potrà aiutare. E' vero... ho avuto anch'io la sensazione che nei nostri commenti c'è un incontro, che non si limita alle parole digitate sulla tastiera.... Intanto anche oggi la solitudine bussa. Ed io mi sento un pò una discarica....
RispondiEliminaDouce se sei qui allora ho un sacco di cose.con Fernando è veramente un percorso molto morbido e bello.e poi ci sono io, ovvio. dal 26 luglio sono di nuovo qui, se vuoi possiamo anche incontrarci per un caffè.poi, se leggi il post di oggi, il percorso che mi ha aiutato tanto e le persone in cui ho una fiducia ben riposta sono Edoardo e Claudia. veramente molto in gamba. in gruppo con loro ho sentito tantissime storie e ho visto le persone che lasciavano tanto dolore per abbracciare una nuova vita.i gruppi con loro ci sono una volta ogni 15 giorni, ed hanno un costo assolutamente accessibile. 30 euro per 2 ore e 30. se vuoi ne parliamo con calma e ti racconto. ri abbraccio grande
RispondiEliminaHo dato un occhio ai siti che mi hai indicato. Sì, sono proprio qui a Roma. Lavorerò fino al 22 Luglio, poi devo partire. Rimarrò fuori Roma fino a metà agosto, ma io spero di rientrare prima. Questo mese mi scade il contratto di lavoro, e quindi non so il dopo cosa sarà ... Questa settimana, saprò qualcosina in più.Ma per un caffè, io ci sto! Mi farebbe molto piacere...
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