Ho scelto il racconto del professore (vedi qui) perché è una buona metafora di cosa succede nel counseling.
Le persone desiderano risposte, ma non le possono ascoltare senza prima fare spazio.
Lo spazio si crea svuotando il proprio sacco, perché imbrigliati tra i dolori e i pesi, ci sono le nostre risorse, ma così come sono, mescolate e compresse non possiamo utilizzarle.
Perciò nei primi colloqui si scopre un bisogno fino ad allora totalmente ignorato di far scorrere un fiume di parole.
E finalmente sono lì, fuori e fanno meno male e sono meno confuse e paurose.
Anche noi counselor, psicologi e co, dobbiamo depositare i nostri pesi per poter accogliere l'altro, altrimenti non c'è spazio.
Ora Edo mi esorta a chiudere il mio percorso perché anche le tazze del tè hanno un fondo, ed è bello pensare che aver toccato il fondo in questa connotazione tutta positiva.
C'è un nuovo spazio dentro e fuori di me.
Felice gioverì dottoressa
RispondiEliminaciao Carrie..felice gioverì pure a te
RispondiEliminasarà per questo che ho deciso di chiamarmi "leggerezza" ? credo proprio di sì! ;-)
RispondiEliminaops.. scusate.. nel commento precedente non è comparso il mio nome!
RispondiEliminaihih leggerezza...giàààà
RispondiEliminadevi lasciare sempre spazio per te paolè! altrimenti ti riempi di cose non tue che occupano troppo spazio, fanno polvere....
RispondiEliminamia cara Solè...se vuoi polvere a casa mia quanta ne vuoi!!!bacione..
RispondiEliminapure da me! ho comprato un kit di swifter! te li mando!
RispondiEliminaLo sai, dottoressa? Io sarò presuntuoso, ma invece di essere vicino a toccare il fondo mi pare di stare per volare fuori, dalla tazza. O magari, più verosimilmente, sto solo tracimando, come quel famoso tè.
RispondiEliminacaro Giusmi sa che è la stanchezza delll'ora...ma non ho capito la metafora...ti senti come nelle tazze del luna park?cambia gioco...
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